Prima della crisi finanziaria del 2008 il rating era lo strumento più utilizzato dai mercati per valutare l’affidabilità degli emittenti di titoli di debito. Esso veniva emesso da poche società specializzate ed era considerato uno strumento altamente affidabile e di facile lettura, cui tutti gli operatori del mercato si rivolgevano con la massima fiducia.
Purtroppo però, con l’irrompere della crisi finanziaria, il rating ha dimostrato tutti i suoi difetti. Le agenzie di credito infatti hanno quasi sempre abbassato il voto dopo che i problemi erano già emersi. Inoltre il rating è stato lo strumento che più di ogni altro ha tradito la fiducia dei risparmiatori, dimostrando assenza di trasparenza e affidabilità, parzialità e soprattutto conflitti di interesse delle società che formulavano il rating stesso. Tanto che oggi si può affermare che i rating emessi prima della crisi non erano altro che un’accozzaglia di numeri falsi e sbagliati, attraverso i quali la speculazione ha stravolto la stabilità del sistema.
Ciò che è accaduto non ha fatto tuttavia scomparire i rating, che vengono tuttora emessi, peraltro sempre dalle stesse società. Comunque i parametri per la valutazione del merito del credito, ad esempio di ogni singolo Stato, sono stati ampliati, ed al rating i mercati gli hanno concesso una fiducia solo a metà. Infatti al rating sono stati affiancati altri parametri per valutare il rischio di uno Stato, che tengono conto di variabili prima non considerate e che di conseguenza danno più credibilità alle indagini sul merito di credito degli Stati.
In ogni caso, quando si prende in considerazione il rating, è bene tenere presente che, secondo un studio pubblicato recentemente, gli emittenti sovrani con voto investment grade (cioè con rating dalla tripla B in su), presentano un rischio di insolvenza, relativo al periodo 1975-2009, quasi nullo, mentre gli emittenti sovrani dell’area speculative grade (cioè con rating inferiori alla tripla B) , sempre nello stesso periodo, hanno presentato un rischio di insolvenza di circa il 30%. Ovviamente è da considerare che queste statistiche si riferiscono a periodi passati e quindi presentano i limiti di ripetibilità propri di tutte le analisi fatte in momenti successivi.