Visto che i rating hanno perso buona parte della fiducia degli investitori, sono nati nuovi parametri, per valutare il rischio di uno Stato, che tengono conto di variabili, prima non considerate, che rendono più accurate le indagini sul merito del credito degli Stati.
Prima della crisi, le variabili che venivano prese in considerazione, erano il PIL (Prodotto Interno Lordo – valore complessivo dei beni e servizi prodotti) ed il peso del debito pubblico (debito dello Stato nei confronti di chi ha sottoscritto obbligazioni – quali, in Italia, BOT e CCT – destinate a coprire il fabbisogno finanziario) sullo stesso, oltre al deficit o al surplus del bilancio pubblico. Ma la grande crisi del 2008 ha rivelato l’insufficienza di questi parametri, per quanto fissati anche dal Trattato di Maastricht. Di qui l’esigenza di una lettura più sofisticata delle economie, come ad esempio la differenza tre attività e passività finanziarie, l’entità dei debiti dello Stato ma anche delle
famiglie e delle imprese, in relazione al PIL, e quant’altro.
Uno strumento che i mercati utilizzano sempre più spesso per valutare la solidità degli Stati, e che sono diventati la bussola di trader, gestori e investitori non professionali, sono i Credit Default Swap (CDS).
Come funzionano? Un Credit Default Swap è una specie di contratto di assicurazione in cui il compratore paga un premio al venditore per assicurarsi contro il rischio di fallimento di una terza entità, che può essere un’azienda o uno Stato. In pratica, se ad esempio si vogliono proteggere 100mila euro investiti in un’obbligazione di durata quinquennale, si può comprare un Cds su questi titoli pagando attualmente circa 350 euro l’anno, cioè lo 0,35% (35 bps – basis point. Il bps, o punto base, è il rapporto tra variazioni percentuali e punti base, e può essere riassunto come segue: 1% di variazione = 100 punti base, e 0,01% = 1 punto base. E’ usato per indicare il cambiamento di uno strumento finanziario). Così un vincolo, il cui rendimento aumenta dal 5% al 5,5%, si dice che aumenta di 50 punti base, o tassi di interesse che sono aumentati dell’1% si dice che sono aumentati di 100 punti base).
Chi li usa? I Credit Default Swap sui rischi del credito sovrano sono oggi i più popolari sul mercato di questi derivati. Li trattano i gestori di hedge fund, dei fondi comuni e delle assicurazioni. Ma li usano anche le banche centrali che vogliono proteggere le loro riserve. In sostanza quindi, il risparmiatore che vuole valutare i rischi di un investimento in titoli di uno Stato, può considerare il livello dei Cds su quei titoli. Più è elevato e più il titolo è considerato rischioso dal mercato. Ad esempio i Cds sui Btp sono pari a 90 bps (quindi per assicurare 100mila euro di Btp occorre spendere 900 euro l’anno), quelli sui bund tedeschi sono sui 25 bps. Per cui seguendo questo indicatore i titoli di Stato tedeschi sono molto meno rischiosi di quelli italiani.
Ecco come sono valutati i titoli degli altri Stati (chiaramente sono livelli che variano costantemente): Francia 30 punti base, Usa 35 bps, Cina 65 bps, Giappone 70 bps, Gran Bretagna 76 bps, Spagna 102,5 bps, media dei Bric (Brasile, Russia, India, Cina) 140 bps.
Secondo molti esperti i Cds sono diventati più affidabili nel valutare i rischi dei titoli di Stato rispetto al tradizionale sistema di rating delle agenzie di credito, in quanto i valori espressi in cifre, rispetto alle ormai superate triple A o B, consentono di monitorare i movimenti dei titoli e di confrontare gli emittenti per scoprire quale sia il rischio di un investimento.
Per gli investitori i Credit Default Swap sono sicuramente un indicatore che deve essere affiancato e preposto al rating per effettuare le scelte di investimento.