Nel rito del lavoro l’inosservanza, in sede di ricorso in appello, del termine dilatorio a comparire, non è configurabile come vizio di forma e di contenuto dell’atto introduttivo, atteso che, a differenza di quanto avviene nel rito ordinario, essa si verifica quando l’impugnazione è stata già proposta mediante il deposito del ricorso in cancelleria, mentre nel procedimento ordinario di cognizione il giorno dell’udienza di comparizione è fissato dalla parte (art. 163 c.p.c., n. 7 e art. 342 c.p.c.), considerato altresì, che tale giorno è fissato, nel rito dei lavoro, dal giudice col suo provvedimento. Pertanto, tale inosservanza non comporta la nullità dello stesso atto di appello, bensì quella della sua notificazione, sanabile ‘ex tunc’ per effetto di spontanea costituzione dell’appellato o di rinnovazione, disposta dal giudice ex art. 291 c.p.c., costituendo questa norma espressione di un principio generale dell’ordinamento, riferibile ad ogni atto che introduce il rapporto processuale e lo ricostituisce in una nuova fase giudiziale, per cui sono sanabili ‘ex tunc’, con effetto retroattivo a seguito della rinnovazione disposta dal giudice, non solo le nullità contemplate dall’art. 160 c.p.c., ma tutte le nullità in genere della notificazione, derivanti da vizi che non consentono all’atto di raggiungere lo scopo a cui è destinato (art. 156 c. 3 c.p.c.), ossia la regolare costituzione del rapporto processuale, senza che rilevi che tali nullità trovino la loro origine in una causa imputabile all’ufficiale giudiziario o alla parte istante.
Per l’anzidetto, la Corte di legittimità ha cassato la decisione della Corte d’Appello che aveva dichiarato improcedibile l’impugnazione, ritenendo inesistente la notifica del ricorso e del pedissequo decreto di fissazione dell’udienza, in quanto effettuata il giorno prima dell’udienza e quindi inidonea a consentire all’appellata di svolgere le sue difese.